Chi siamo

Come nasce il progetto delle imbottiture bombix? Da un trafiletto di giornale dei primi anni 2000.

Leggevamo della “Rinascita del baco da seta italiano”: delle ragioni, locali e globali, che ne avevano in passato decretato la fine in pianura padana dopo una tradizione secolare e di quelle che lo stavano riportando in vita. La curiosità ha preso il sopravvento. Abbiamo iniziato a documentarci e ci siamo sempre più appassionati alla storia e alla cultura legate a questo “miracolo” della natura e dell’umana industriosità. Abbiamo riscoperto le radici familiari e sociali di questa antica pratica contadina. I nostri nonni racimolavano i primi guadagni dell’anno allevando ed accudendo nel calore domestico i “cavalieri”, come li chiamavano.

Leonardo da vinci

Tutta la famiglia vi partecipava: gli adulti potando le prime nutrienti foglie dei gelsi che, come siepi, crescevano rigogliosi nell’aia. I bambini e le donne tagliavano le foglie in striscioline con le quali nutrivano i bachi in tenera età e poi, cresciuti e avvenuta la muta, dipanavo i bozzoli per raccoglierli in sacchi che i vecchi portavano alla filanda per essere essiccati e filati. Un tanto al kilo, i soldi che realizzavano erano i primi, se non gli unici per un’economia contadina di sussistenza. Le giovani da marito si recavano a lavorare alla filanda dove, nell’acqua bollente in cui erano immersi, i bozzoli rilasciavano la sericina ed erano pronti per essere esaminati dalle loro mani esperte per trarne il bandolo per la trattura.

Abbiamo scoperto che la fine di questa attività produttiva è stata prima lenta un secolo e poi fulminea. Nel giro di un decennio, fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 del ‘900, un know how secolare, che caratterizzava la vita e la cultura delle campagne nei mesi primaverili scompare. A nulla valsero le benedizioni che tradizionalmente il pievano faceva scendere sui “cavalieri”… come sotto incantesimo i bruchi crescevano ma non prendevano la strada per il “bosco” dove avrebbero dovuto filare il loro bozzolo. Una maledizione gravava.

 

E ha gravato fino ai primi anni 2000. Si chiamava Insegar, un fitosanitario introdotto negli anni ’80 dalla Bayer contro i parassiti nei frutteti. Massicciamente nebulizzate nei frutteti trentini, le leggere molecole di questo antiparassitario venivano trasportate dai venti in pianura padana e qui si depositavano sulle foglie degli alberi, compresi i gelsi. La caratteristica dell’Insegar era quella di inibire gli ormoni della crescita negli insetti dannosi alla frutta: non diventando adulti non potevano nemmeno riprodursi e quindi diffondersi. Per i bachi che mangiavano le foglie di gelso così contaminate il destino era segnato: non riuscendo a produrre gli ormoni per raggiungere l’età adulta, giunti alla loro quinta muta non prendevano più la via del bosco dove filare il bozzolo, continuavano invece a nutrirsi di foglie e a crescere finché, letteralmente, scoppiavano. Sospettato di essere cancerogeno e messo al bando all’inizio del nuovo millennio, questo fitosanitario ha smesso di inquinare le foglie dei gelsi e anche i bachi hanno ripreso a portare a termine il proprio ciclo di mutazioni fino al bozzolo.

Al che ci siamo detti che, visto che la “maledizione” era finita, ci saremmo dedicati a promuovere a partire dal nostro territorio – quello di Conegliano-Valdobbiadene, dedito alla redditizia industria del Prosecco – la rinascita dell’abbinamento vite-gelso, con lo slogan: è tempo di rimaritare la vite al moro. L’intento non solo di recuperare una tradizione e un know-how secolari, ma di promuovere la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco per combattere le drammatiche storture – sociali oltre che ambientali – della monocoltura e diffondere la bachicoltura quale bio-indicatore della qualità di vita e dei prodotti di un territorio (sì, compresa la vite): dove prospera il baco languono i pesticidi. 

Primo prototipo bombix

Da qui inizia la storia di Bombix, non azienda ma progetto, vision per il futuro di un territorio…

Mission
Sostenibilità